Domenica 23 settembre, il mattino presto, verso le tre, dopo lunga malattia, il Signore ha chiamato a sè padre Giancarlo Bossi, nato e cresciuto a Castelletto e da lì partito per la missione. Promettendo il dono di una preghiera ci stringiamo a quanti l'hanno amato e lo affidiamo alla misericordia di Dio. Come ebbe a dire appena liberato dopo la prigionia, prima dei suoi sequestratori era stato il Signore a rapirlo, con il suo stile, la sua passione per la giustizia e per i poveri. Nella comunione dei santi, chiediamo per sua intercessione che anche per noi accada lo stesso, che anche noi il Signore Gesù possa rapire e attirare alla sua sequela ogni giorno della nostra vita. Qui sotto troviamo alcune sue parole che ci aiutano a ricordarlo.
ricordando padre Giancarlo Bossi
LORETO, 1° SETTEMBRE 2007 AGORÀ DEI GIOVANI
Fatevi rapire dai vostri ideali! Sperimentando la tenerezza di Dio rinnoviamo il nostro essere dono
"Santo Padre, sono felice di essere con lei questa sera per dire il mio grazie: a Dio per aver ancora una volta tenuta amorosamente la mia vita nelle sue mani; a Lei per avermi portato nel suo cuore di padre durante il mio sequestro; a tutti questi giovani perché con la loro preghiera e il loro amore mi dato il coraggio di rimanere fedele a Cristo, alla sua Chiesa, alla mia vocazione missionaria e alla gente a cui appartengo. Grazie in nome di Dio.
Mai avrei pensato nella mia vita di trovarmi di fronte a tanti giovani. Chiedo scusa se mi vedete impacciato. La parola non è il mio forte. Sono convinto che ciascuno di noi ha un sogno da realizzare. Ciascuno di noi ha qualche cosa da dire. Non solo con le parole, c’è anche chi si esprime con gesti, chi nel silenzio solidale, chi con un sorriso. L’importante è mantenere vivo il sogno della vita. L’importante è volare! Ragazzi, fatevi rapire dai vostri ideali! Io ho iniziato a sognare quando ho deciso di entrare in seminario, ho continuato il mio sogno durante la mia ordinazione sacerdotale, l’ho vissuto nelle Filippine per tantissimi anni. L’ho toccato con mano durante i giorni del mio rapimento.
Sono un missionario, dico un povero missionario, uno delle migliaia di preti impegnati in tutti i paesi poveri del mondo. Vivo nelle Filippine da 27 anni. Continuerò a farlo. Spero. Questa storia non mi cambia, non mi cambierà. Anzi, no, qualcosa di diverso c’è: ho smesso di fumare e spero di non riprendere. La mia avventura è iniziata il 10 giugno, festa del Corpus Domini, una festa a cui tengo molto. Avevo detto Messa alle 7.00 nella chiesa di Payao, poi ero salito sulla moto per andare a un’altra celebrazione.
Ho visto questi uomini in divisa, con i mitra. Pensavo fossero dell’esercito. Poi ho capito, ma la frittata ormai era fatta. Mi avevano preso. Ricordo che quando stavo salendo sulla barca con loro il mio primo pensiero è andato alla gente della mia parrocchia in Payao.
Durante il lungo viaggio in mare, coperto da un telone, mi sono chiesto che cosa il Padre mi chiedeva. E’ così sono iniziati i 40 giorni di prigionia. Ho patito la fame, tantissimo, e la fatica. Ma non ho mai avuto paura di morire. Cercavo di parlare con i miei rapitori. Ho chiesto loro: «Voi pregate come me il Dio della Pace. Com’è che lo fate col mitra alla sinistra e un sequestrato alla destra?» Mi hanno risposto che Allah è nel cuore. Il rapimento è lavoro. Pagati per eseguire un rapimento, l’hanno fatto.
Sono stato per quaranta giorni sulle montagne. Mi ci hanno portato con forza. Però ho visto attorno a me persone povere, spaventate. Persone che volevano farsi forza tenendo tra le mani un fucile. Per loro ho provato compassione. Ho cercato anche di mettermi nei loro panni. Anche in loro ho visto la bontà di Dio.
Quel Dio che ti prende per mano e che non ti lascia solo. Quel Dio che ti fa superare le paure e che entra in rapporto con te chiedendoti la totale disponibilità. Durante i quaranta giorni del mio deserto n
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