Te Deum di fine anno

Pubblicato il 31 Dic 2009.

RINGRAZIARE COME FANNO I PICCOLI

TE DEUM, PERCHÉ IL CASO NON HA MANI

Te Deum laudamus. Inizia così la preghiera di fine anno. Si ringrazia, si loda Dio per l’anno passato. Te Do minum confitemur. Ti proclamiamo Signore del tempo che è passato. E che sta per venire. E ogni anno così. Con un gesto quasi rivoluzionario, rispetto a tutti gli altri gesti e le altre parole. Le più diffuse sono quelle di chi si lamen ta. E non ringrazia, nemmeno d’esser vivo. Che invece è una gran cosa. O le altre parole, quelle di chi fa analisi, e magari stila classifiche: uomo dell’an no, goal dell’anno, star dell’anno, etc etc. Invece noi ridiciamo Te Deum.
Ringraziando, anche con tutti i magoni che ci vengono a pensare ai giorni pas sati. Ringraziando d’esser vivi, e qui, a dire il nome più alto di tutti nomi. E a dire i nomi di chi amiamo, o abbiamo amato. A serbare gioia, o ricordo.
Te Deum, anche a denti stretti, a occhi pieni di lacrime. Controvento della gioia, della speranza. Ringraziando per ogni cosa bella. Anche minima. Per o gni notizia minuscola riportata dalle cronache (oppure no) in cui si è testi moniato un bene. Come la dignità di tanti amici carcerati. O poveri. O un martirio. Come quello di tanti fratelli perseguitati, la testimonianza di tanti martiri in terre lonta ne.

Te Deum, ti ringra ziamo per la loro vi ta. Per quel che ha fatto notizia, e per quel che non fa nessuna notizia.
Per il tanto bene che ci riempie gli occhi, se li teniamo aperti. E ringraziamo per le persone che ci vengono donate.
Te Deum, anche in mezzo al pianto per quelli che non ci sono più. E con la voce che un po’ trema per i troppi orrori che ci è tocca to vedere. Per le stragi che ancora han no eco in noi. Lontane nei mesi, succe dute, duramente uguali ormai, notizie di bombe, di autobombe, di massacri in zone che ci sono divenute familiari come nomi di mappe sanguinose.
Te Deum, tremando nell’orrore e nella lontananza. Perché ringraziare per l’anno non è dimenticare l’anno. E al zare il Te Deum non è abbassare la bandiera della memoria delle ingiusti zie o delle stragi. Nemmeno di quelle invisibili, dei non nati, dei buttati via. E non è dimenticare i tanti nomi di colo ro tra i propri amici che soffrono per mille motivi, e spesso come innocenti.

Alla fine dell’anno più che i bilanci, conta se hai la forza di ringraziare. Più del fatto che tornino i conti (se mai nella vita i conti possano tornare) im porta se hai voce per ringraziare l’ae ternum Patrem, importa se hai ancora voce per dire: sì, la vita è un dono, e dunque una responsabilità. Ed è di un Altro. Perché le analisi e le partite dop pie della contabilità della vita possono interessare gli appassionati di bilanci, e chi vuole chiudere i bilanci. Ma chi è appassionato alla vita e al suo senso, alla fine di un anno cerca dentro di sé e fuori di sé i motivi per ringraziare, che è come dire i motivi per ricominciare.
Anche se la contabilità è in rosso. O se le forze a volte sembrano mancare.

Te Deum, per dire che siamo nelle Sue mani. Che non sono le mani del caso.

Chi pensa di appartenere al caso rin grazia, se gli va tutto bene. Se no, im preca. Chi pensa di appartenere al caso si guarda intorno alla fine dell’anno, e gode se non è stato colpito da sventu ra. Se no il suo cuore è nell’ombra. Chi dice Te Deum, invece, ringrazia di es sere tenuto in quelle mani di Padre, anche se sta conoscendo la difficoltà e la dura prova. Ringrazia, fa la cosa più rivoluzionaria della nostra epoca, in grata nei grandi rapporti sociali e an che nei piccoli rapporti personali. Rin grazia come fanno i piccoli. E dei pic coli è il segreto del mondo.